Nullità, per indeterminatezza dell’oggetto, del mandato “in bianco” conferito dall’acquirente al costruttore/venditore all’atto della stipula

Cassazione, sentenza 11 aprile 2014, n. 8606, sez. II civile

 

REPUBBLICA. ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:.

Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA - Presidente -

Dott. LAURE NZA NUZZO - Consigliere -

Dott. IPPOLISTO PARZIALE - Rel. Consigliere

Dott. ANTONIO ORICCHIO - Consigliere -

Dott. ALBERTO GIUSTI - Consigliere -

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

....omissis.... 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto di citazione notificato in data 10/2/2003 la Società E I s.r.l. (di seguito: S s,r,l.) conveniva in giudizio la B P s.r.l., esponendo: di aver edificato un complesso immobiliare industriale sito in Torino, strada (...,) e di avere, con rogito notarile del 27/12/2001, trasferito in proprietà alla B P s.r.l., svolgente attività di vendita di autovetture, una porzione di fabbricato industriale al piano terreno, composto da un locale commerciale con area antistante e retrostante adibita a parcheggio esclusivo. Tuttavia, la società convenuta, dall'inizio del 2002, aveva cominciato a usare per il parcheggio e l'esposizione dei propri automezzi anche le aree verdi adiacenti e i limitrofi posti auto, rimasti ancora di proprietà dell'attrice, pregiudicando le trattative chE quest'ultima aveva intrapreso per la locazione e/o la vendita di tali aree. Pertanto, l'attrice chiedeva che fosse accertato che la convenuta non aveva diritto di occupare le aree verdi adiacenti agli immobili di proprietà dell'attrice e i posti auto rimasti di proprietà della medesima, con conseguente condanna alla rimozione degli automezzi della B P s.r.l. da dette aree e posti ed al risarcimento dei danni subiti dall'attrice per l'impossibilità di utilizzare dette zone.

Si costituiva la convenuta B P s.r.l. che contestava le domande attoree, eccependo che le aree indicate dall'attrice dovevano considerarsi comuni, come risultava dall'atto di vendita e dalla planimetria allegata alla concessione edilizia, e che, a seguito dei frazionamenti e vendite operate dalla S , era sorto un condominio, con conseguente presunzione, ex art, 1117 c.c.,, dì comunione delle partì destinate all'uso comune. Peraltro, l'uso che essa faceva di dette parti comuni non violava l'art. 1102 c.c.,

2, Con sentenza del 4 giugno 2004 il Tribunale di Torino rigettava tutte le domande di parte attrice. Il Tribunale rilevava che, a seguito del frazionamento della proprietà del complesso immobiliare in questione ad opera della originaria costruttrice e venditrice s s.r.l., già con il primo atto di vendita di un'unita immobiliare era sorto un condominio, del quale entravano a far parte i vari successivi acquirenti, conseguentemente, operava la presunzione legale di comunione delle parti del complesso immobiliare considerate dall'art. 1117 cod. civ. Peraltro, dagli atti di vendita delle unità del complesso immobiliare della S non risultava in alcun modo una chiara ed univoca volontà delle parti di riservare esclusivamente ad una delle parti la proprietà dei cortili e delle aree verdi, emergendone, anzi, una chiara destinazione di tali parti all'uso comune. Infine, accogliendo la prospettazione della difesa di B P s.r.l., il giudice di prime cure riteneva inefficace nei confronti della convenuta, il regolamento condominiale redatto dalla S s.r.l., successivamente alla nascita del condominio, in particolare nella parte in cui prevedeva che, nell'area circostante lo stabile, vi fossero: “area riservata a posti auto su cortile in autobloccanti delimitati in giallo, di proprietà privata; area verde su verde armato per posti auto proprietà privata delimitali in bianco o giallo...''. Tale disposizione risultava limitativa del diritto di proprietà di B P s.r.l. sulle aree comuni, e mai accettata. Né tale inefficacia poteva essere superata attraverso il riferimento alla clausola, contenuta nei rogiti di compravendita, di generica previsione della facoltà della S s.r.l. di redigere il successivo regolamento condominiale, in quanto nulla ex art. 1346 c.c. per indeterminatezza dell'oggetto.

3. Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello la S s.r.l. In via preliminare, l'appellante eccepiva la nullità della sentenza impugnata per difetto di legittimazione attiva della B P a rivendicare la comunione delle aree oggetto di causa e conseguente, mancata integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c.

Inoltre, la S. s.r.l. deduceva che il Tribunale di Torino aveva applicato in maniera errata l'art. 1117 c.c., perché non esisteva un collegamento funzionale tra le aree occupate dalla B P s.r.l. e il bene ad essa venduto. In più, contestava la dichiarata inefficacia dell'art. 2 del regolamento condominiale e lamentava il rigetto delle istanze istruttorie articolate in primo grado e inerenti l'ammissione di prove orali e l'esperimento di una CTU accertativa dello stato dei luoghi.

La B P si costituiva ritualmente chiedendo il rigetto dell'appello perché infondato.

4. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 7 giugno 2007 rigettava l'appello, condannando la S al pagamento delle spese di giudizio.

In rimo luogo, dichiarava infondate le eccezioni preliminari, in quanto la B P non aveva mai proposto una domanda di rivendica di parti comuni, essendo a tale conclusione autonomamente pervenuto il giudice di prime cure, attraverso l'interpretazione dell'art. 1117 c.c., e dei contratti di vendita in atti. Riteneva infondato il primo motivo d'appello, evidenziando come le aree contese circondassero interamente il complesso immobiliare, comprendente le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, avendo, quindi, le caratteristiche per essere considerate aree comuni, con la venuta ad esistenza del condominio. Né l'appellante aveva prodotto elementi documentali in grado di vincere la presunzione di comunione e provare la sua esclusiva proprietà sul cortile e sulle aree verdi. Inoltre, il giudice d'appello confermava la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva dichiarato la nullità, per indeterminatezza, della clausola che aveva consentito a s s.r.l. di redigere il regolamento condominiale, in quanto essa demandava alla mera volontà dell'appellante la scelta e la consistenza delle parti comuni e di quelle di proprietà esclusiva. Le entità, che ex art. 1117 c.c. erano presunte comuni, non potevano essere trasformate in proprietà esclusiva su semplice scelta di S essendo, invece, necessaria una espressa accettazione scritta da parte di tutti quei condomini, che avevano acquistato anteriormente alla redazione del regolamento condominiale. Infine, la Corte Territoriale confermava la decisione del giudice di prime cure, laddove aveva ritenuto superflua l'assunzione delle prove richieste al fine di accertare se le aree contese fossero da considerarsi comuni.

5. Ricorre avverso la suddetta pronuncia la S s.r.l. articolando sette motivi di gravame. Resiste con controricorso la B P s.r.l., che ha depositato memoria.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I motivi del ricorso.

1.1 - Con il primo motivo di ricorso si deduce la «violazione e falsa applicazione degli artt. 163 n. 3, 4; nonché 164 c.p.c.; 112, 115, 183 e 345 c.p.c. (art. 360, n. 3 e 4 c.p.c.)».

Secondo parte ricorrente, in primo luogo, non è condivisibile l'argomentazione della Corte territoriale, secondo cui la S avrebbe per la prima volta in sede d'appello allegato che gli spazi cortile - zone a verde "siano entità suscettibili di autonoma utilizzazione". Per contro, è sempre stato pacifico che la grossa struttura immobiliare non fosse abitativa, ma destinata ad una utilizzazione industriale o commerciale, come risulta dal titolo edilizio e dalla documentazione prodotta. In più, occorre precisare che, poiché il giudizio concerne diritti reali, ossia diritti "autodeterminati" che sono sufficientemente individuati sulla sola base del loro contenuto giuridico, non può aver rilievo, nei confronti di chi agisca a tutela del proprio diritto reale, l'enunciazione delle modalità dell'acquisto, perché il thema decidendi è definito attraverso l'esplicitazione della pretesa sul bene. Il riferimento all'autonoma utilizzabilità delle aree contese non è in grado di incidere sul perimetro del thema decidendi e, pertanto, non si può ritenere sussistente una "domanda nuova" formulata solo in grado d'appello. D'altra parte il confronto tra le conclusioni contenute nell'atto di citazione e quelle contenute nell'atto d'appello dà conto della identità delle domande formulate dall'odierna ricorrente.

Viene formulato il seguente quesito: « 1) se realizza allegazione nuova (eventualmente inammissibile in appello) il fatto di aver specificato che le aree oggetto dell'azione dell'odierno ricorrente erano talvolta utilizzate anche per altri usi e che esse facevamo parte di aree sistemate a parcheggio, rispetto a che, già in primo grado, erano state tempestivamente prodotte le planimetrie specificative della domanda; o se invece - come si ritiene - le stesse costituivano mere puntualizzazioni ritualmente introducibili in sede di gravame; 2) se non si tratti di circostanze deducibili, nel giudizio di gravame in dipendenza del carattere autodefinitorio delle azioni reali».

1.2 - Col secondo motivo di ricorso si deduce la «violazione e falsa applicazione degli art. 163 n. 3, 4; nonché 164 c.p.c.; 112, 115 c.p.c. (art. 360, n. 3 e 4 c.p.c.)».

I giudici di merito hanno respinto l'impugnazione considerando l'azione dell'odierna ricorrente come diretta a reclamare proprietà e rilascio delle aree cortilizie e delle zone verdi, mentre la S s.r.l. aveva indirizzato la propria azione non sul cortile in quanto tale, ma verso i posti macchina in esso ricompresi, nonché sulle zone verdi destinate a parcheggio (ed occupate dalla B P s.r.l.). Dunque, l'odierna ricorrente non aveva reclamato genericamente gli spazi concreti, in quanto porzioni di beni più vasti, ma posti macchina, in quanto rientranti in determinati parcheggi.

La divergenza tra la domanda proposta e quella respinta sembra determinare una crasi tra il chiesto e il pronunziato.

Secondo parte ricorrente, se pure è vero che un'area forse ipoteticamente cortilizia era stata concepita nella prima ideazione del fabbricato, in seguito, però, si era ritenuto opportuno dotare la struttura di un numero rilevante di posti auto e, dunque, al momento della nascita in regime di condominialità, ossia con la vendita delle unità immobiliari, il complesso risultava dotato di ampie aree di sosta stabili, alle quali si accompagnavano residue aree cortilizie; nonché di ex aree c.d. "a verde", anch'esse già sistemate ed utilizzate in veste di posti macchina, Pertanto appare errato identificare, come oggetto della causa, una grande area cortilizia e/o un'ampia area a verde, quando l'assetto prevalente era offerto dai parcheggi.

Viene formulato il seguente quesito: «se costituisce, o meno, osservanza del disposto dell'art. 112 c.p.c. il rigetto della formulata impugnazione, anche sulla base del fatto che gli spazi oggetto dell'azione della S facevano parte di aree comprese, nell'ambito cortilizio, od anche delle c.d. aree verdi, senza tenere conto che, sia nell'uno che nell'altro caso, si trattava di parcheggi localizzati secondo la dislocazione e ricavati nell'area cortilizia, come da descrizione grafica prodotta fin dal I grado di giudizio (Trib. doc.6) ».

1.3 - Con il terzo motivo di ricorso si deduce la «violazione e falsa applicazione dell'art. 1117 c.c. in relazione anche alle l. 18.06.1967, n. 765, 24.03.1989, n. 122 nonché successive modificazioni ed integrazioni (art. 360, n. 3 c.p.c.)».

La Corte d'appello ha errato nel ritenere applicabile alla fattispecie l'articolo 1117 del codice civile. Al riguardo, è orientamento ormai consolidato che i parcheggi realizzati in eccedenza non sono soggetti a vincolo pertilenziale a favore delle unità immobiliari del fabbricato, cosicché l'originario proprietario costruttore può riservarsi, o cedere a terzi, la proprietà di tali parcheggi. Anche i posti auto in eccesso devono essere considerati come beni sottoposti ad un regime di proprietà individuale, assumendo un carattere di condominialità solo nel caso di attribuzione espressa della corrispondente qualifica nell'atto di costituzione del condominio oppure in un regolamento contrattuale, o in un regolamento, ex art. 1138 C.C., formato con la presenza di tutti i proprietari. Cosa che non è avvenuta nel caso di specie. Con la costituzione del condominio non era emersa la volontà, necessariamente convenzionale, del proprietario di tale aree di parcheggio di renderle condominiali. Da ciò discende l'inapplicabilità alla fattispecie dell'articolo 1117 c.c., nonché dell'articolo 1102 c.c. e, al contempo, risulta l'arbitrarietà dell'occupazione effettuata dalla B P S.r.l..

Viene formulato il seguente quesito: «se una serie di vasti parcheggi, realiztati in aree contigue all'edificio condominiale, in eccedenza ai vincoli di legge ed in misura largamente rapportata alle esigenze, anche ampie, di proprietari ed utenti delle singole porzioni individuali, inducano o non inducano alcuna presunzione di condominialità; o se, piuttosto, ne restino consentite la libera esitabilità, e la libera proprietà, secondo i criteri della proprietà esclusiva (e ciò, sia pur con salvezza dei vincoli di destinazione)».

1.4 - Col quarto mezzo di gravame si deduce la «violazione e falsa applicazione dagli artt: 1117 c. .c., nonché degli artt. 163 (n. 3, 4), 112, 115 e 183 c.p.c. (art. 360, n. 3 e 4 c.p.c. )» La Corte d'Appello ha qualificato erroneamente come "aree a verde" gli spazi limitrofi al cortile, che un tempo facevano parte di una anonima e futuribile configurazione cortilizia, ma che al momento giuridicamente rilevante si presentavano come specifici posteggi nell'ambito di ex aree libere definitivamente sottratte alla configurazione collettiva, proprio per la funzione specifica, oramai stabilmente assunta su determinazione del costruttore proprietario. La storicità dell'utilizzazione a parcheggio, e la sua sussistenza all'atto della nascita del condominio escludono ogni altra possibile valutazione.

Si tratta dì aree poste oltre l'estremità "esterna" del sedime del fabbricato e dell'ex cortile, che la Corte Territoriale ha erroneamente qualificato come "condominiali", senza peraltro motivare specificamente sul punto. D'altronde, l'indole di condominialità non può discendere automaticamente dall'aver qualificato tali spazi come "aree a verde" o dalla circostanza che essi soccorrano "al complessivo aspetto architettonico del complesso immobiliare".

L'area in esame era, stata adibita a parcheggio dalla S s.r.l. prima della nascita del condominio, e se pure dal manto erboso presente nell'area si volesse far discendere la destinazione ad "area a verde", essa non poteva ritenersi incompatibile con la contemporanea funzione di parcheggio, da considerarsi prevalente, perché disposta a suo tempo dall’unica proprietaria. Dunque, se mai, poteva configurarsi una ipotesi di destinazione del padre di famiglia per le aree verdi. Invece, per la Corte d'Appello alle aree in questione considerate come condominiali si dovrebbero applicare i principi di cui agli artt. 1120 e 1127 c.c. in tema di tutela del decoro architettonico dell'edificio a fronte di eventuali innovazioni, mentre la tutela apprestata dall'art. 1120 c.c, si riferisce al "fabbricato" e non alle aree esterne, collocate ben distanti dal predetto immobile. In ogni caso, se il giudice di merito avesse voluto ritenere esistente tale legame e far valere la tutela dell'art. 1120 c.c. avverso eventuali innovazioni pregiudizievoli del decoro architettonico del fabbricato, avrebbe dovuto motivare in ordine alla visibilità dell'asservimento e al pregiudizio economico arrecato da tali innovazioni. Ciò non è avvenuto. Secondo parte ricorrente, dunque, anche in astratto l'individuazione, che è stata suggerita per la fattispecie, non sembra utilmente acquisibile per sostenere la condominialità delle superfici a verde.

Viene formulato il seguente quesito: «se una serie di vasti parcheggi, realizzati in aree contigue all'edificio condominiale ed in misura largamente rapportata alle esigenze, anche molteplici di proprietari ed utenti delle singole porzioni individuali non inducano alcuna presunzione di condominialita, ma piuttosto siano liberamente acquistabili ed esitabili (secondo i criteri della proprietà esclusiva). Si denuncia pure l'omesso o insufficiente esame dello stato dei luoghi quale risultante della documentazione non apprezzata e di cui al precedente motivo».

1.5 - Col quinto motivo di gravame si denuncia la «violazione e falsa applicazione dell'art. 163 n. 3, 4; nonché dell'art. 1117 c.c. (art. 360, n. 3 e 4 c.p.c.)»

La Corte d'Appello ha errato nel confermare l'assunto del Tribunale secondo cui, nel caso di specie, non sussisterebbero elementi tali da escludere l'operatività, con riferimento alle aree contese, della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c. L'art. 1117 c.c. non può trovare applicazione in quanto, nella specie, non ci sì trova di fronte a beni comuni da escludere dal condominio, ma di beni individuali rispetto ai quali non va ricercata alcuna prova contraria rispetto ad una inesistente presunzione di condominialità. Con maggiore impegno esplicativo, in difetto del fondamento stesso della presunzione legale, la prova ex art. 1117 non avrebbe dovuto essere fornita dalla s s.r.l..

La destinazione all'utilizzo individuale dei parcheggi da parte della s s.r.l. risulta, ipso facto, dalla specificità dei posti, tra l'altro in parte realizzati con complesse strutture (c.d. autobloccanti), sia nel numero dal numero degli stessi, sovrabbondante rispetto a quelli imposti dalla legge. Ciò permette di escludere un qualsiasi rapporto di servizio con l'edificio principale, precludendo la qualificazione "condominiale" dell'area.

Secondo parte ricorrente è evidente che l'odierno resistente si sia appropriato di un'area eccedente rispetti ai posteggi da lui acquistati, con pregiudizio dell'attività imprenditoriale della "S s.r.l.".

Viene formulato il seguente quesito: «1 ) se per definire la qualificazione di un'area posta all'interno di un complesso condominiale (e per accertare se la stessa sia condominiale o meno), l'indagine vada espletata in funzione di eventuali antecedenti atteggiamenti oppure in conformità alla situazione oggettiva esistente all'atto della formazione del condominio in dipendenza del distacco della prima unità separata del complesso; 2) se possa ritenersi che un posteggio realizzato su una porzione che avrebbe potuto essere definita condominiale (area cortilizia) assuma o meno siffatto carattere anche in relazione alle postazioni che al tempo della formazione del condominio si presentavano come predisposte a posteggio di autovetture. Si denuncia pur l'omesso o insufficiente esame dello stato dei luoghi quale risultante della documentazione non apprezzata e di cui al motivo quarto».

1.6 - Con il sesto motivo di ricorso si deduce la «violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e ss c.c.; nonché art. 1349 c.c.; nonché art. 1420 e ss c.c. e art. 1703 e 1704 e ss c.c. (art. 360, n. 3 e 4 c.p. c.) omesso o comunque insufficiente esame dell'atto di trasferimento (doc. 1) del regolamento di condominio (doc. 9) e di tutta l'altra documentazione prodotta, in quanto comprovanti la validità e 1'attunione del mandato (art. 360, n. 5 c.p.c.)».

Il regolamento di condominio era stato redatto dall'originario costruttore/venditore, sulla scorta di un mandato a lui conferito all'atto della prima stipula, e reiterato in occasione di quelle successive; mandato mediante il quale era stato affidato l'incarico volto alla redazione del regolamento condominiale. Il mandato era stato dichiarato nullo dal primo Giudice per pretesa indeterminabilità dell'oggetto. Successivamente, tale statuizione era stata confermata dalla Corte Territoriale in quanto la clausola conferente il mandato lasciava "alla mera volontà della S la scelta e la consistenza delle parti comuni e quelle di proprietà esclusiva".

Tale affermazione non appare supportata da idonea motivazione, tenuto anche conto che l'art. 1349 c.c, soccorre a limitare l'arbitrio del soggetto alla determinazione dell'oggetto di una pattuizione contrattuale, vincolandolo al criterio dell'equo apprezzamento. In ogni caso, sfuggirebbe al mero arbitrio sia le planimetrie "allegande", sia le tabelle millesimali che costituiscono dati oggettivi, nonché la clausola di chiusura, che rinvia alle norme riguardanti, in genere, la conduzione e l'amministrazione del complesso immobiliare, vincolando l'arbitrio del mandatario,

Infine, secondo parte ricorrente, bisogna tener conto che, per poter valutare il contenuto di una pattuizione, si deve aver riguardo al comportamento delle partì anche nella fase di esecuzione. Al riguardo, risultano utili due considerazioni: la prima è che le aree in questione non erano affatto comuni; la seconda è che, oltre alla B P s.r.l., nessuno degli altri acquirenti ha mai sollevato questioni in ordine alla spettanza di quei posti a favore del proprietario costruttore. In conclusione, appare errata la statuizione in ordine alla nullità dell'oggetto del mandato, in quanto esso era individuabile in base alle circostanze di fatto esistenti e con l'ausilio del criterio guida dell'equo apprezzamento dettato dall'art. 1349 c.c. Parimenti erronea è l'affermazione contenuta in sentenza secondo cui il regolamento non è stato accettato dalla totalità dei condomini. L'atto pubblico di deposito del regolamento di condominio enuncia categoricamente il contrario indicando, in effetti, che esso regolamento era stato posto in essere da tutti i condomini del tempo.

Infine, non vi è motivo di ritenere che il mandatario non abbia adempiuto ai suoi obblighi secondo equo apprezzamento. Nel regolamento era individuata la quantità di posti garantiti secondo le indicazioni di legge, residuava poi un ampio numero di posti alienabili ai diretti interessati per i quali non c'e motivo di escludere che la S s.r,l., avendo realizzato quelle opere, ne possa ricavare profitto.

Ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. viene formulato ìl seguente quesito di diritto: «se nella fattispecie denunziata debba riscontrarsi un mandato affidato al diligente apprezzamento del mandatario, oppure se affidato al suo mero arbitrio; e se, con particolare riguardo alla prima ipotesi ed al fatto che si poneva come valida l'attribuzione dei posti macchina al soggetto proprietario debba ritenersi la validità del relativo mandato. Si richiama la documentazione di cui sopra».

1.7. - Col settimo motivo di ricorso si deduce la «violazione e falsa applicazione degli arti 112, 113, 115 e 183 (vecchio) c.p.c. (art 360, i, 3 e 4 c.p.c. omessa o comunque insufficiente e contraddittoria pronunzia sopra punti decisivi della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.)».

I giudici di merito hanno rigettato le istanze istruttorie dell'odierna ricorrente sul presupposto che il quesito se cortile ed aree verdi costituissero o no proprietà comuni, non necessitasse dì prove orali e di consulenza tecnica e sull'ulteriore affermazione nel senso che, negato il diritto principale dell'attrice, fosse priva di contenuto ogni richiesta risarcitoria.

Tuttavia, in caso di accoglimento del ricorso, s'imporrebbe un rinvio ai giudici di merito per una necessaria ricostruzione storica, topografica e di assetto sia sulla domanda principale, sia sulle componenti del danno. Viene formulato il seguente quesito: «se modificato il fondamento logico in base al quale sono state respinte la richiesta di consulenza tecnica (eminentemente descrittiva ed accertativa dello stato dei luoghi) nonché le valutazioni del danno conseguente ai fatti addebitati, debba essere rimessa all'eventuale Giudice del rinvio la decisione sulle richieste istruttore ai fini della valutazione, della pertinenza e dell'ammissione in concreto delle prove proposte. Al riguardo si segnalano le stesse istanze (come riportate agli esordi del motivo) in virtù del dovere di indicazione delle circostanze che si reputano indebitamente o per erronee ragioni non apprezzate dal Giudice territoriale. Si denuncia pur l'omesso o insufficiente esame dello stato dei luoghi quale risultante della documentazione non apprezzata e di cui al precedente motivo; nonché dell'atto di compravendita (doc. 1) (contenente anche il mandato per la formazione del regolamento condominiale, del verbale di deposito del regolamento di condominio con i relativi allegati, in quanto confermativi della permanente validità del conferito mandato e della regolarità della sua attuazione)».

2. I1 ricorso è infondato e va rigettato.

Preliminarmente, occorre osservare, in via generale, che il ricorso propone censure che appaiono relative a questioni nuove, che non risultano sollevate nei precedenti gradi di merito, e quindi inammissibili in questa sede. Inoltre, alcuni quesiti posti ai sensi dell'art. 366-bis c.p.c. non appaiono conformi al dettato normativo, posto che non appaiono finalizzati all'individuazione ed enunciazione del principio di diritto che si indica come violato e di quello che si richiede di applicare, prospettandosi invece la richiesta di una pronuncia di merito. In ogni caso tutti i motivi risultano infondati per quanto di seguito si chiarisce,

2.1 - Con riguardo al primo motivo, si denuncia - in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c. - la violazione degli art. 163, n. 4, 164, 112, 115, 183 e 345 c.p.c. Si lamenta in particolare la valutazione di "tardività" in appello dell'allegazione della S in ordine agli spazi cortile-zone di verde come "entità suscettibili di autonoma destinazione".

Per dimostrare la "non novità" della questione, la ricorrente invoca l'applicazione dei principi giurisprudenziali elaborati per la categoria dei diritti "autodeterminati" in ordine al diritto di proprietà, che appaiono del tutto estranei alla questione controversa, nella quale occorre stabilire se e in che misura sia applicabile l'art. 1117 cod. civ. In tale direzione si è svolto il contraddittorio e in tale ambito va individuata la ratio decidendi adottata dai giudici di merito. Quest'ultimo punto verrà esaminato più specificamente con riguardo ai motivi di ricorso formulati al riguardo (e di cui infra). Il motivo è quindi infondato.

2.2 - Col secondo motivo si denuncia la violazione degli stessi articoli di cui sopra sotto un altro profilo, deducendosi che la s "aveva indirizzato la propria azione non sul cortile in quanto tale, ma verso i posti macchina in esso ricompresi nonché sulle zone verdi destinate a parcheggio (occupati dalla Spa B P)”.

Si tratta di censura non agevolmente comprensibile, stante che non è oggetto di contestazione la particolare modalità di godimento del cortile, utilizzato come parcheggio, per cui l'eventuale traccia di posti auto sul cortile asfaltato non basta a snaturare la consistenza ontologica del cortile stesso. In tali termini il motivo è infondato.

2.3 I motivi da 3 a 5 riguardano l'applicazione dell'art. 1117 cod. civ. e possono essere trattati congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connessi. Si deduce l'erronea applicazione della norma in questione sotto vari profili, ma l'applicazione che ha fatto di tale norma il giudice distrettuale si rivela corretta dal punto di vista giuridico e la relativa motivazione si presenta immune da vizi logici. Trattandosi di un cortile, delimitato da zone a verde, che circonda interamente il complesso immobiliare, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che nel momento in cui era venuto ad esistenza il condominio non emergevano elementi idonei a vincere la presunzione di cui all'art. 1117 c.c., elementi, peraltro, che spettava alla S provare, allegando e dimostrando che, al contrario, risultavano aree aventi una destinazione particolare a servizio di alcune soltanto delle unità immobiliari o volte ad utilizzi particolari di alcuni condomini. Sul punto, è emerso che l'atto di acquisto della Spa B P individuava le aree in questione come comuni, e anche gli atti successivi non contenevano alcuna distinzione in favore di proprietà esclusive, mentre del tutto ultroneo è il richiamo alla normativa urbanistica vincolistica relativa alle aree di parcheggio.

1.6 - Col sesto motivo, si contesta il giudizio di nullità (per manifesta indeterminatezza) della clausola che consentiva l'adozione del regolamento, poi predisposto successivamente dalla costruttrice (28/2/2003), posto che, invece, in quanto oggetto di specifico mandato contenuto nell'atto di acquisto delle singole unità dello stabile (27/12/2001), tale pattuizione sarebbe stata titolo idoneo ad operare da parte della venditrice una riserva a proprietà esclusiva dei beni in contestazione. In proposito, questo Collegio concorda con l'orientamento di questa Corte, secondo il quale il regolamento di condominio, predisposto dall'originario unico proprietario dell'edificio, è vincolante, purché richiamato ed approvato nei singoli atti di acquisto sì da far parte per relationem del loro contenuto, solo per coloro che successivamente acquistino le singole unità immobiliari, ma non per coloro che abbiano acquistato le unità immobiliari prima della predisposizione del regolamento stesso, ancorché nell'atto di acquisto sia posto a loro carico l'obbligo di rispettare il regolamento da "redigersi" in futuro, mancando uno schema definito, suscettibile di essere compreso per comune volontà delle parti nell'oggetto di negozio (Cass. n. 3104 del 16/02/2005 - Rv. 579726; Cass. n. 856 del 2000 - Rv. 533182; Cass n. 8486 del 1999 Rv. 529218). In questa ultima ipotesi, il regolamento può vincolare l'acquirente solo se, successivamente alla sua redazione, quest'ultimo vi presti adesione (circostanza non verificatasi nella specie, nemmeno per facta concludentia come pretende invece la ricorrente). Quanto alla nullità per indeterminatezza del mandato, essa risulta correttamente affermata, posto che la scelta era riservata, senza alcun criterio predeterminato, al venditore- mandatario.

2.7 - Col settimo motivo si censura la mancata ammissione della prova orale e della CTU. Anche in questo caso si tratta di motivo infondato, posto che il giudice distrettuale ha adeguatamente motivato in ordine alla superfluità della prova orale o della CTU, in quanto la valutazione se il cortile de quo costituisse o meno un'area comune non necessitava di alcuna istruttoria (anche alla luce dell'esaustiva documentazione versata in atti). Tale decisione appare corretta.

3. Le spese seguono la soccombenza,

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 3.000,00 (tremila) euro per compensi e 200,00 (duecento) euro per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, Camera di Consiglio del 10 gennaio 2014

 

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